martedì 10 febbraio 2015

15 - Regalbuto. Il Blog di Salvatore Bova.


Regalbuto. Il Blog di Salvatore Bova 15)




IL DOLCE-AMARO  RACCONTO  D’AMORE  DI  UN  CARNEVALE  DI    CINQUATANNI FA A REGALBUTO.

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Preciso che mi limito ad esporre fatti e pensieri di un mio caro, fraterno amico, mio quasi coetaneo, ormai scomparso, che -per ovvi motivi- chiamerò Salvo, che vi racconterò così come avrebbe fatto lui, oggi, se fosse ancora in vita.


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      Sono appena passate le 23, io e mia moglie siamo già a letto, ma la musica, che accompagna il ballo in Piazza e nel Corso, normalmente fino a mezzanotte, è già finita? Probabilmente -penso- un acquazzone ne ha causato questa improvvisa e sgradita interruzione. Ed è con questa convinzione che, immaginando l’irritazione di quanti si stavano divertendo, ho preso sonno; e con me, penso, anche mia moglie, ch’è accovacciata al mio fianco. Per la precisione è sabato 31 gennaio del 2015.
E’ con questo pensiero che mi sono svegliato questa mattina, domenica, quindi: non erano ancora le 5, un po’ presto direi per le mie abitudini! La curiosità mi ha spinto ad aprire lo sportello della finestra, per rendermi conto di com’era il tempo e del perché di quella interruzione musicale di quella tarda serata. Le strade, che dalla finestra vedevo: quel piccolo tratto del corso e la scalinata di Via Grappa, erano quasi asciutte, il che lasciava intuire che, se acquazzone c’era stato quella notte, la pioggia aveva avuto breve durata. Sono tornato a letto, con la speranza di riprendere sonno. Niente da fare, non riesco a dormire e, come di solito capita in simili casi, mi metto a pensare.
E’ così che la mia mente và a quel lontano carnevale di mezzo secolo fa quando, un po’ tutti, messo alle spalle il veglione di fine d’anno -che poteva essere un veglione vero e proprio che si teneva nel salone municipale o in diversi altri locali pubblici e privati come il Cine-Teatro Urania,
Il Cinema Piemonte, La Terrazza, il Mapul- ogni fine settimana, cioè il sabato sera, di solito dopo le ore 21 o 22, ci si ritrovava, oltre che nei predetti locali pubblici e privati, anche, in tante altre case private -appositamente preparate dai padroni di casa- per ospitare amici e parenti, più o meno già “messi in conto”, oltre agli eventuali, altri “visitatori” occasionali, per i quali -di solito- la casa restava a loro disposizione per partecipare a qualche ballo fra di loro “visitatori” ed, eccezionalmente, con qualcuna o qualcuno degli ospiti fissi. Ciò fino a mezzanotte; oltre quell’ora era possibile spostarsi nei veglioni pubblici e privati.
E’ lì, nel veglione che si teneva nel salone comunale che, un sabato sera di quel lontano 1965, comincia questa storia, che vede protagonisti me -quarantenne, diciamo, anzi quasi quarantaduenne, anche se dimostravo parecchi anni di meno- e la giovanissima, vivace e attraente Nannarella. Dire come, nei minimi particolari, la storia ebbe inizio è cosa difficile ricordare e raccontare. Di certo avvenne, senza magari che ce ne rendessimo conto, che la simpatia , dell’uno verso l’altra e viceversa, ci spingeva a “ritrovarci” ogni volta, o quasi, attaccava il nuovo brano musicale, che gli orchestrali eseguivano. E fra un ballo e l’altro, fra un bicchierino e l’altro si chiacchierava del più e del meno. Ricordo, come fosse oggi, quando Lei mi stupì ponendomi la domanda, passando dal lei al tu, come del resto feci io, senza rendercene conto: secondo te, fra me e mia sorella Mariella, chi è la più grande? E io, senza esitazione, le risposi: tu, senza alcun dubbio; invece era il contrario! Seppi che, a Catania, stava per completare il ciclo della scuola superiore e ch’era intenzionata a proseguire con gli studi universitari. E poiché anch’io, saltuariamente per motivi di lavoro, spesso mi ritrovavo nel centro etneo, concordammo di rivederci lì, da buoni amici e senza particolari secondi fini.Qui sarebbe il caso di fare almeno una precisazione su cosa intendere per sentimento. Di sentimenti ce ne sono di diversa natura: buoni e cattivi, d’amore e di odio, di simpatia e antipatia, ecc. Fra i buoni sentimenti io metto, al primo posto quello dell’amore; ma parlando d’amore questo può essere di genere e d’origine diversi: l’amore per i genitori, per i figli, per i parenti più o meno intimi, ecc. Ma, indiscutibilmente quello ch’è diverso, non necessariamente e comunque più forte e migliore, da tutti gli altri, è l’amore per l’essere con cui l’individuo -sia esso maschio che femmina- intende, dico intende, o è meglio dire intenderebbe, passare tutta la vita e creare una nuova famiglia. Ed è da aggiungere che non tutti noi, esseri umani, esprimiamo allo stesso modo i vari sentimenti: c’è chi li esprime in modo più o meno “apparente” e c’è, invece, magari gli stessi sentimenti, per suo intimo carattere, non riesce ad esprimerli con la stessa evidenza o intensità. Il che, in taluni casi, può anche portare a conseguenze di vario genere. Io, che sposai l’attuale mia moglie spinto da un amore che certamente andava, come va, oltre il “normale” sentimento coniugale e che -per il mio intimo carattere estroverso- non facevo nulla per nasconderlo o minimizzarlo, non potevo sentirmi appagato e soddisfatto da manifestazioni contenute -potremmo anche dire controllate- che, in ogni caso -e ciò vale per tutti- possono indurre il partner a considerare tali manifestazioni, così contenute, causate da un limitato attaccamento affettivo e sentimentale. E, purtroppo, e mi ripeto: purtroppo, non esiste al mondo uno strumento adatto a misurare l’intensità dei vari sentimenti. Per questi, per i sentimenti quindi, vale solo l’apparenza; vale cioè quello che la persona, con i suoi gesti, col suo comportamento, riesce ad esprimere! E’ indubbio che ciascun essere umano, sia donna che uomo
-qualunque cosa egli dica- non è insensibile nel sentirsi oggetto di attenzioni di simpatia e di gradimento di vario genere, specie se queste “attenzioni“ provengono da persone che gli riescono simpatiche o attraenti, o entrambe le cose. E di questo ingranaggio di simpatia e attrazion reciproca restammo prigionieri sia io che l’attraente e giovane Nannarella. Lei, Nannarella, probabilmente perché attratta, oltre che dall’ingenua curiosità dovuta alla sua giovane età, dalla mia più matura e, ai suoi occhi ovviamente, gradevole presenza e portamento; io perché attratto e soggiogato, oltre che dall’attraente e giovane età -ben dieci anni meno della mia ancora molto giovane e bellissima moglie- perché affascinato e innamorato dal suo modo di manifestare i suoi sentimenti: senza limiti nelle effusioni e indifferente a qualsiasi, possibile conseguenza, per quanto riguarda manifestazioni d’affetto. Non che tutto questo avesse come conseguenza un fine -e nemmeno un minimo riflesso- di carattere sessuale, tutt’altro: ovunque guardasse, qualsiasi suo riferimento o confronto, per Nannarella, l’oggetto del confronto, l’unico oggetto vero, ero io. Alla guida della mia macchina ero spesso ostacolato -nella guida- dalle sue effusioni, dalle carezze e quasi soffocato dai suoi baci. Mi sentivo inebriato da tutto questo e, penso, anche Nannarella era più che soddisfatta di come io la consideravo e di come e di quanto io l’amassi. In pratica Nannarella esprimeva i suoi sentimenti nei miei confronti così come io facevo -e in buona misura continuo a fare anche oggi- nei riguardi di mia moglie, senza, però, esserne ricambiato da quest‘ultima. Lei, mia moglie, continua a sostenere che questo fa parte del suo carattere e del suo modo di fare; e io ci credo. Resta il fatto, comunque, che in campo amoroso, ritengo, il “piacere” che si prova nel ricevere attenzioni, baci e carezze dalla persona amata vale per entrambi i soggetti, o no? Questo spiegherebbe, in buona misura, il motivo e l’evolversi del rapporto fra me e Nannarella: rapporto che poi, in fondo, si basava principalmente a sporadiche escursioni -in macchina, naturalmente- nelle zone vicine a Catania, ove era possibile usare un juke-box per ascoltare musica e ballare e, possibilmente, gustare qualche gelato -specie se di quelli alla fragola!
                                                        

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Quel carnevale, che in effetti iniziò la notte del 31 dicembre del 1966, si protrasse fino al martedì grasso del ‘67. Per noi, cioè per me e Nannarella, la nostra storia d’amore continuava, anzi continuava a progredire e a raffozzarsi, anche perché, col finire del periodo carnevalesco, la frequenza scolastica di Nannarella a Catania -questo particolare l’ho appena accennato in precedenza- aumentò, così come aumentarono -in conseguenza- i nostri incontri e le occasioni per conoscerci in modo sempre più approfondito. E i mesi passavano e, col passare del tempo, aumentava il legame affettuoso che ci univa. Ma debbo a questo punto ricordare, purtroppo, mettendo da parte stupide ipocrisie, che tutte le festività, tutte le occasioni che determinavano il rientro a Regalbuto di Nannarella, rappresentavano, sia per me che per lei, motivo di tristezza e di sconforto. Immaginate, poi, il nostro stato d’animo all’approssimarsi, prima, della fine dell’anno scolastico, e poi alle varie festività estive, che si concludevano col Ferragosto! In questo periodo solo all’occasionale incontro, magari di sfuggita, potevamo sperare e speravamo! Quel nostro amore, che cresceva e si rafforzava col passare del tempo, riempiva la nostra mente e il nostro cuore, sia che fossimo insieme sia che ci trovassimo distanti l’uno dall’altro, ma il sapersi sempre e comunque idealmente vicini, riempiva -per intenderci- la nostra vita. Eravamo felici nel sapere che -idealmente- l’uno apparteneva all’altro e, di fatto, era come se fossimo la stessa persona: Non ci importava granché quello che, al di fuori di noi, succedeva. Perché questa è la verità: quando si ama davvero si vive dell’altra e per l’altra persona, il resto non conta. Si è egoisti, esageratamente egoisti, e dei sentimenti degli altri non ci si preoccupa, se non relativamente, per non dire affatto o quasi. Ma questa considerazione valeva -o doveva- valere per me; per me che avevo una moglie e delle figlie, le quali, di fatto, venivano private dell’affetto e delle attenzione del congiunto. E sotto questo punto di vista l’amore -sto parlando dell’amore come “sentimento”- vissuto, anche solo idealmente, ma intensamente, dalla coppia, è veramente crudele: rende, o può rendere, il soggetto interessato insensibile a tutte le altre considerazioni, alle altrui esigenze, alle altrui varie necessità della vita di tutti i giorni. Ciò, come ho detto, valeva, o doveva valere, per me e non per Nannarella, che, sostanzialmente, non sottraeva -specie sul piano sentimentale- niente a nessuno dei suoi cari, tranne, ovviamente, ma questo -egoisticamente parlando- non veniva preso in considerazione perché, al massimo, aveva a che fare soltanto col “principio” della fiducia che i suoi genitori riponevano sulla figlia! Ci amavamo e basta! Ci amavamo con la massima intensità, anche se questo amore -come già accennato- si basava essenzialmente -per non dire esclusivamente- sul sentimento. Non esistevano limiti di tempo a questo e per questo nostro amore, perché nemmeno ci ponevamo la domanda, e in modo particolare da parte mia, se e fino a quando questo “nostro grande amore” potesse durare. Si andava comunque avanti: la nostra storia continuava. Passata l’estate ricominciò. in quel mese di settembre del 1966, il nuovo anno scolastico e con esso si ripresentarono le solite, normali occasioni di incontri ed escursioni, sempre verso i vicini centri fuori Catania che potevano offrirci i luoghi da noi preferiti: Acireale -per goderci, magari dal muraglione che costeggia la Nazionale, la sottostante, bellissima veduta di Santa Maria La Scala, o, qualche volta, scendendo giù, giù fino ad arrivare al limitare del mare- Acicastello, Acitrezza, Giarre -non siamo mai andati oltre, da questa parte- i tanti, più o meno piccoli centri etnei o, dall’altra parte, verso Siracusa, senza mai arrivare oltre una certa distanza, mai comunque oltre Agnone o, verso Lentini, senza mai raggiungerla, fermandoci qui, nel solito locale, dove ascoltavamo la musica dal solito juke-box e concentrando la nostra preferenza sul cantante che più ci interessava: Adamo e le sue canzoni “sussurrate”, come l’indimenticabile “Lei”; sorbendo, come già detto, qualche gelato, preferibilmente alla fragola o, al limite, sorseggiando qualche bibita o un colorito aperitivo. Ma questa nostra appassionata, oltre che appassionante, storia d’amore aveva, purtroppo, le sue ombre: doveva -prima o poi- fare i conti con la realtà, cioè con le prospettive di sopravvivenza che essa aveva o poteva avere. Intanto si andava avanti e si approdava al successivo periodo carnevalesco del 1967, che, come ormai da tradizione, aveva inizio con i festeggiamenti del Capodanno e relativi veglioni, musica e balli in piazza della Repubblica. Fu già da qui che, per noi due, cominciò “il” nuovo anno d’amore e reciproche promesse; intanto con la nostra musica e le nostre canzoni, che trovavano spazio e mimetizzazione con tutte le altre, ma che noi sapevamo ben distinguere dalle tante che venivano trasmesse. Non starò qui a descrivere questo inizio d’anno che, come si può immaginare, ripeteva, per noi due, scene e copioni già in precedenza descritti, magari questa volta vissuti col vantaggio delle esperienze dell’anno appena trascorso. Dico quindi che, finito il carnevale, Nannarella smise di fare la spola fra Regalbuto e Catania e, in questa sua più comoda dimora cittadina - ove, fra l’altro, pur sapendo dov’era situata, non misi mai piede- potè, con più serenità e profitto, riprendere la sua ormai abituale vita di studentessa e dolce compagna, anche se -ovviamente, almeno fino a quei momenti- non “legittima”.


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Dei due, cioè fra me e Nannarella, quello che maggiormente avvertiva il cruccio di questa non “legittima” situazione, ero certamente io. Io, combattuto fra i due contrastanti stati d’animo -che, poi, rispecchiavano realtà più che evidenti- che in me albergavano: l’amore, certamente profondo per Nannarella, che spesse volte mi portava ad evidenti, se non proprio esagerate, apprensioni, per la costante paura di poterla perdere, a causa della sua giovanissima età, e il grave senso di colpa -in me sempre latente- in cui mi dibattevo, per la mia anormale situazione familiare, di giorno in giorno sempre più difficile. Fra l’altro non me la sentivo -sia sul piano etico che su quello pratico- di mantenere -e, poi, fino a quando e perché?- quella anomale situazione! E quando esternavo queste mie paure e preoccupazioni, era Lei, Nannarella, ad incoraggiarmi, ad infondermi fiducia in lei e nel suo amore, che mai, per colpa sua, sarebbe cessato; E quando questo argomento veniva in discussione, ancora di più, in me, si materializzava -visivamente parlando- il dolce, semplice e accattivante volto di una ancor giovane Orietta Berti a cui Lei, Nannarella, tanto somigliava. E poiché, come si dice a Regalbuto: “Amuri, biddizzi e dinari su’ tri cosi ca nun si ponnu ammucciari”, ma non solo per questo, ma per tutta una serie di motivi che sarebbe troppo lungo e impegnativo elencare. mi sembra evidente che in casa mia -e in modo particolare agli occhi di mia moglie- certi miei atteggiamenti e modi di fare, non potevano passare inosservati e senza destare sospetti e preoccupazioni e creare -direi giustificati- stati di “allarme”, per la tranquillità familiare, Da qui -ovviamente- gli immaginabili e conseguenti dissapori coniugali, con scambi di colpe, che io definisco d’origine, che, inutile dire anche questo, vicendevolmente ci scambiavano. Comunque, i fatti che seguiranno daranno le giuste valutazioni e i giusti limiti alle diverse interpretazioni. Premesso che il mio matrimonio, quasi quindici anni prima, fu, certamente da parte mia, frutto di un folgorante innamoramento -ricambiato certamente, ma non so in che misura- dalla mia giovanissima moglie, mi preme, in merito, ritornare su un concetto già in precedenza accennato: quello che riguarda il “carattere” di ciascuno di noi e i diversi modi di manifestarlo. Ci sono tanti modi di esternare pensieri e sentimenti; e fra i diversi modi, il mio -debbo dire purtroppo?- ritengo, invece, sia da annoverare fra quelli più pregevoli e da apprezzare. Certo, posso anche sbagliare -per difetto o esagerazione- nel fare ciò, ma dimmi, carissimo amico, ci costa qualcosa essere cortesi e cordiali invece di essere burberi e altezzosi? Ritengo di no, così come ritengo il nostro prossimo -indipendentemente dal sesso e dall’età, escludendo i piccoli e chi non è in condizione di intendere e del volere- ben disposto ad essere trattato e considerato con cordialità e cortesia.
Quell’inizio del secondo anno, ormai inoltrato, finito il Carnevale, ci permise di riprendere il nostro tran-tran di frequentazioni, appassionate discussioni, spostamenti alla scoperta di eventuali nuovi luoghi, degni della nostra attenzione e delle nostre soste contemplative, spesse volte meritevoli di essere immortalate; comunque, “immortali” restavano nei nostri cuori, s’è vero che così spesso e con tanto calore ed entusiasmo li ricordavamo. Ma, col passare delle settimane, si avvicinava il tempo della fine dell’anno scolastico e l’inizio, per noi, di quel periodo di forzato distacco, intercalato da qualche occasionale e fugace incontro nelle strade del paese, incontro che, il più delle volte, era costituito da semplici, anche se eloquenti, sguardi carichi di desideri e di voglia comunicativa, con grande  amarezza repressi. Magari questi particolari qualcuno li notava e, a modo suo, li considerava e li commentava. Il fatto è che, alla fine di quella estate de ‘67, e quindi poco prima dell’inizio del nuovo anno scolastico, a casa mia, con mia moglie, si arrivò alla cosiddetta resa dei conti: manifestai la volontà di porre fine al nostro rapporto matrimoniale, perché intendevo passare il resto della mia vita con Nannarella, che mia moglie -più che altro di vista- già conosceva. Ricordo che a quel triste spettacolo assistette una nostra amica di famiglia -fra l’altro parente, anche se non intima- di Nannarella.
All’inizio del nuovo anno scolastico, già al primo giorno, m’incontrai con Nannarella, ma non ebbi il modo di renderla partecipe della decisione alla quale ero pervenuto con mia moglie: appena la vidi, nel corrermi incontro, notai -non potevo fare diversamente, tanto erano evidenti- i due ginocchi di Mannarella vistosamente escoriati. Naturalmente rimasi stupito, più che preoccupato, e prima ancora di salutarci mi venne spontaneo chiederle cos’era successo -sono arrivata a terra, a faccia in giù, mi rispose; -ma com’è stato possibile?, chiesi io, e lei -sono caduta perché mio cugino mi rincorreva!


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Quello fu il giorno, per giunta il primo dopo una lunga “astinenza“, che restammo insieme “solo” per pochi minuti: il tempo appena sufficiente per farle notare che le mie paure, che in precedenza avevo più volte paventato, quale conseguenza della sua giovane età, mi davano conferma che le le mie paure -o preoccupazioni, come le vogliano definire- non erano infondate; per cui concludevo dicendole, sia pure con un grosso nodo alla gola, che per il bene di tutti, e di lei in primo luogo, la nostra relazione lì finiva. La salutai con un semplice “ciao” (col pianto in gola: non mi sentivo, né potevo, dire di più) ingranai la marcia e mi allontanai. Era un tardo pomeriggio di quel settembre del 1967. I miei erano a Catania -dimenticavo di dire che avevamo una doppia abitazione, come quasi tutti a Regalbuto: una in paese e l’altra, appunto, a Catania.
Il mio cuore così gonfio e addolorato mi faceva avvertire l’impellente bisogno di fare qualcosa perché quell’insopportabile stato di grande sofferenza, che mi stringeva la gola e mi attanagliava lo stomaco avesse fine. Un gesto estremo e definitivo era quello a cui l’istinto mi spingeva a mettere in atto, anche perché avevo -ormai da tempo- a portata di mano la doppietta, regolarmente dichiarata e sempre carica; ma nel contempo mi chiedevo: a parte il giudizio altamente negativo che ho sempre esternato per gesti del genere, quali saranno le conseguenze sulla famiglia e in modo particolare per le mie figlie? Intanto si era fatto buio e io mi fermai in uno dei tanti bar del Viale Mario Rarapisarda -non ricordo quale- non solo per rilassarmi e riflettere, ma perché avvertivo il bisogno di mettere un certo ordine alle mie idee, sempre che ciò mi fosse riuscito possibile. Ordinai -io che non ho mai gradito una simile “bevanda”, un whisky e un bicchiere d’acqua e andai a sedermi in un poltroncina che si trovava poco distante dal bancone che, da sola, faceva compagnia ad uno striminzito tavolinetto a tre piedi, uno dei quali mancava del piedino di gomma -cosa della quale mi resi conto il momento in cui vi posarono quanto da me ordinato. Vorrei ricordare che anche la mia famiglia, come tante famiglie di regalbutesi, aveva casa sia a Regalbuto che a Catania e che da qualche giorno era nel centro etneo che abitava. Io, dopo quello ch’era successo nel pomeriggio, avevo già deciso di passare quella notte a Regalbuto. Ero pervenuto a questa decisione quando mi portarono il whisky, che cominciai a sorseggiare senza tanto entusiasmo e continuando a riflettere; non solo su quello ch’era avvenuto quel pomeriggio, ma -forse ancora di più e con infinita tristezza e profonda amarezza, al passato. E’ pensando alla felicità vissuta con Nannarella in quasi due anni d’amore -fatto di tenerezza, di moine, di baci,di tanti baci dati o ricevuti con infinita tenerezza, appunto- che, piano piano, avevo finito il mio whisky, senza rendermene conto. A richiamarmi alla realtà -relativamente, però, perché il non essere abituato a bere cominciò a provocare un certo senso di “leggerezza” mentale, che anziché allarmarmi mi spinse a considerare la possibilità di dare una soluzione diversa, ma a me certamente più congeniale, alla volontà di dare soluzione definitiva a ciò che mi tormentava. Sapevo, ero convinto, che senza di Lei, senza Nannarella, continuare a vivere per me non aveva senso. Se quell’effetto “leggerezza” che il solo whisky provocò in me -che ero quasi del tutto astemio- l’avessi aumentato aggiungendo l’effetto di una o più compresse di barbiturici? L’idea mi convinse. Mi alzai, pagai la consumazione ed uscii. Salii in macchina e mi aggiunsi alle poche macchine che risalivano il Viale. Mi resi conto che dovevo uscire dall’abitato di Catania quanto prima era possibile, perché cominciavo ad avvertire gli effetti dell’alcool, anche se ne avevo ingerito una piccola quantità. Meno male che ero già abbastanza “in alto” e prossimo ad immettermi sulla 121; cosa che avvenne da lì a poco, almeno così mi sembra di ricordare. Ormai era tardi e, man mano che andavo avanti, incontravo sempre meno traffico. Fino a quando di traffico non ne incontrai più, o quasi, tranne qualche eccezione; solo allora ingerii la prima compressa di “roipnol”. E gli effetti cominciarono a farsi sentire, ma non mi sembrava fossero sufficienti a lenire l’amarezza e lo sconforto che sembrava mi soffocassero, e che mi portavano -a me che non ricordavo di aver mai fatto prima in via mia- ad asciugarmi, continuamente, col dorso della mano, mentre guidavo, lacrime che stentavo inutilmente di trattenere. Assunsi, via via, altre pillole di roipnol col deliberato proposito di andarmi a sfracellare in una delle tante curve e controcurve della vecchia 121. Non so se debbo alla mia naturale, istintiva bravura di guida, anche se in condizioni di più che evidente “sballo”, o alla cosi detta avversità della mia stella, se arrivai incolume, mio malgrado, a Regalbuto. Fin’oggi, ora sono quasi due anni dal mio decesso, ho portato vivo e cocente nella mente e nel cuore l’emozionante e struggente memoria di quel mio grande, indelebile amore, specie per i motivi, i gesti, i significati che quel grande sentimento rappresentava.


                                                                                                 Caro Salvo,

Ho riassunto con parole mie quelli che furono, prima, per quasi due anni, i tuoi pensieri, i rapporti, l’amore struggente e i motivi di gioia condivisi con Nannarella; momenti seguiti da parecchi decenni di grande amarezza e sconforto; anche se hai dimostrato, perché ti sei impegnato. in tutti questi anni, un normale comportamento, sia come marito che come padre. Spero di averlo fatto, questo racconto, riferendomi e riferendo -con la massima sincerità- quanto io ebbi modo di constatare o che tu stesso -in ciò spinto dalla fraterna amicizia che ci legava- mi raccontavi. A parte i limiti che ci possono essere, nell’esposizione di quanto raccontato, dovuti al fatto che io non sono un letterato, spero di averlo fatto con la massima, sincera obiettività. Con la stessa sincerità vorrei aggiungere una mia personale considerazione: se la tua vita l’avessi vissuta a partire da qualche decennio fa -considerati i comportamenti e, soprattutto, le idee delle nuove generazioni, che per quanto riguarda formalità nei rapporti fra i due sessi e fra i coniugi, niente hanno a che fare col passato- probabilmente saresti ancora insieme con la tua Nannarella -oppure no?- e anche la vita di tua moglie avrebbe potuto avere uno svolgimento diverso, magari più felice ed appagante. Concludo augurandomi -a prescindere dalle personali, soggettive considerazioni di chi legge questo racconto-che da esso possa scaturire un, sia pure piccolo, motivo di riflessione e, -perché no?- qualche stimolo che porti il lettore ad evitare “certi” errori di vita e di comportamenti.
                                                                                                 Salvatore Bova


P.S. - Mi resta da aggiungere i miei ringraziamenti a Maria Rosa e Maria Spitalieri, per essersi prestate nell’ approntare  -con una certa maestria,  a  me completamente estranea- la foto-riquadro posta in apertura (o in coda) del presente racconto.


A proposito di “Il dolce-amaro racconto di un carnevale di 50 fa a Regalbuto”.
BUONA PARTE, PENSO, DI GIUDIZI E COMMENTI SU FACEBOOK, considerato che alcuni -non  so quanti- sono stati erroneamente cancellati.

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Angela Plumari DOLCE COME I BACI , AMARO COME I ROIPNOL E ALCOOL. FA RIFLETTERE....BELLO.
Maria Rosa verissimoooo una storia bellissima ,quello che non concepisco è il volersi togliere la vita, l'amore è bello perchè è un sentimento irrazionale, pazzia ,il ritornar fanciulli, e possedere gioielli pur avendo le tasche vuote , è uno di quei bivi che incontri "ricordi le due strade, bene una è nuova liscia,l'altra e vecchia rotta" ,noi per indole scegliamo proprio quella mal ridotta "chissa perchè" ma sempre noi possiamo ritornare sulla retta via senza necessariamente toglierci la vita. io non ho detto nulla comunque
Angela Plumari Verissimo Maria Rosa , e poteva starci anche un lieto fine , con delle verità rivelate e accettate, senza strazi...ma la vita è così complicata a volte, ma anche passionale.
Maria Rosa verooooo Angela Plumari .
ANGELA LEONE - e bravo signor Salvatore , un forte abbraccio per lei e la sua signora.
LUISA INTRAGUGLIELMO - Coinvolgente....!!
MARIA ROSA - devo dire salvatore che ho letto questa storia ed è molto bella,ma voglio esprimere un giudizio in particolare alla parola che tu usi alla fine"errore" tu parli degli anni ,in cui l'amore era unico e solo,dove la libertà d'amare non era certo come quella che ci si propone adesso, dove incontri una persona che credi sia la tua metà e ci credi veramente e invece alla fine ti ritrovi una perfetta estranea/o ,dove il divorzio non era consentito .io ho sempre visto la vita come una strada,alla nascita la nostra strada è ancora da precisare quindi ci troviamo davanti ,una strada pulita liscia ancora da percorrere,pian piano i nostri genitori ci danno la direzione ,quindi la nostra strada comincia ad avere una linea dritta,e cerchiamo nel migliore dei modi di non perdere la direzione che ci è stata data,ad un certo punto la mano dei nostri genitori ci lascia e ci troviamo a dover percorrere la strada da soli,guardando bene di non sbagliare ,con il passare del tempo troviamo la persona con cui passeremo " non per tutti è così" il resto della nostra vita e ritroviamo una persona che ci prende per mano e ci accompagna restando certo nella direzione "giusta" ma capita che per una cosa o per l'altra la persona che abbiamo scelto ci lascia la mano ed in quel preciso momento ci troviamo la strada interrotta da un bivio uno è tortuoso e pieno di buchi l'altro pulito liscio nuovo "quale scegliere?" quale ci porta sulla direzione che ci siamo prefissati ? sbagliare strada è facile, i cambiamenti ti portano a prendere la strada sbagliata, A volte caro salvatore è proprio quel bivio che ci frega ,quella mano che ci ha lasciato o per sempre "divorzio" "colpa di tutti e 2 mai di una persona sola ,se di colpa si puo parlare" " o solo per distrazione , quando ti senti deluso dalla vita e la persona che hai accanto non ti da piu le attenzioni che meriti" ma questo non vuol dire certo che sia stato un errore,è un percorso che sia sbagliato o meno è un attimo di vita , quello che mi rabbrividisce e il fatto che la persona di cui tu parli abbia pensato di togliersi la vita e non di continuare la via che ha scelto, la vita, l'amore sono delle scelte e se fatte con il cuore anche se la strada che hai intrapreso non è nuova, liscia ma ruvida, tortuosa, in salita questo non da diritto a nessuno di togliersi la vita ma battersi per cio che si ritiene giusto perche "errore" o no bisogna combattere per ottenere la strada giusta. scusa questa volta mi sono dilungata io ma..... a questo punto non so se sono riuscita a spiegare il mio concetto ,non sono certo un'intellettuale la mia cultura si ferma alla terza media quindi scusa gli errori,e il testo confusionario ahaha ciao salvatore e grazie di avermi fatto partecipe di questa bellissima storia.
MARIA SPITALIERI - Dopo aver letto questa storia non è facile commentare........Salvatore. innanzitutto i miei complimenti x come ti sei espresso e sai perché ...perché ci hai messo il cuore.....Questa non è una semplice storia di due amanti...qui e' chiaro che c'era un grande sentimento d'amore e di passione.....che solo chi l'ha vissuto può capire.....non tutte le storie d'amore sono uguali,io ne sono convinta x vissuto personale. Vi sono alcune volte che si devono prendere decisioni drastiche e si deve agire solo con la testa e a parer mio sono le più difficili e dolorose ,perché e' ovvio che rimane il dubbio del se......Io personalmente posso dire x quanto riguarda il discorso di Mariarosa sul divorzio che anche se si sceglie questa opzione non è una decisione facile,ci vuole tanto,ma tanto coraggio e forza ......Vorrei citare una frase ( che non è farina del mio sacco) un'amica disse al mio ex marito: la famiglia e' come un carro trainato da due cavalli ( marito e moglie) se galoppa uno solo,l'altroprosegue da solo o andare fuori strada. Ebbene io scelsi di andare avanti da sola perché' la mia situazione lo imponeva, ma capisco pure che ci sono casi in cui ci vuole piùcoraggio a rinunciare a un sentimento forte e continuare a vivere la routine di una vita quotidiana......anche se dura ....rimanendo con un'amarezza……
MELINA LO FARO - ...Che dire...un racconto emozionante. ..non trovo le parole adatte x poter commentare questa storia! Faccio anch'io i complimenti x come hai saputo farci vivere questa grande storia d'amore.
ROSA GRAVAGNA -  buona sera Salvatore!!! un bel racconto ,aspettavo un finale a lieto fine,,peccato,dopo aver detto tutto alla moglie arrendersi !!!!!
CATERINA BOVA -  Ciao papà, ho letto il tuo racconto, non ti nascondo che mi ha lasciato tanta tristezza.
Condivido il fatto che erano altri tempi, ma il tuo personaggio credo che abbia desistito per paura delle conseguenze per Nannarella non per la famiglia. Penso anche che il modo di agire del tuo personaggio visto la differenza di età abbia influenzato sulle scelte e le decisioni dei figli.
SALVATORE BOVA - Potrebbe anche essere, ma questo non cambia la sostanza delle cose. Trattandosi di un romanzo, non puoi "metterti" "e sentirti" nei panni dei vari personaggi; mi sembra ovvio.
CATERINA BOVA -  Era solo una riflessione
ROSETTA C (?) - buona sera !!! il mio commento è ripetitivo,,,non doveva mollare ,,se era veramente amore,,,che poi a soffrire sono sempre le donne,,,non solo che perdono la dignità,,anche mollate con un ciao,,senza dare spiegazioni!
SALVATORE BOVA - A Maria Rosa, Maria Spitalieri e a Melina Lo Faro - Mi consentite di copiare sulla mia pagina di diario questi vostri commenti? Le mie risposte -se me lo consentite- seguiranno OK? - MARIA ROSA - per me va benissimo salvatore, prendi pure il commento. - MARIA SPITALIERI - Certo Salvatore. - MELINA LO FARO - Anche x me va benissimo. - MELINA LO FARO - Auguri x la signora Bova. - MARIA SPITALIERI -  Che tutto possa andare x il meglio! - MARIA ROSA -  faccio anche io tanti auguri a tua moglie salvatore e vedrai che tutto andra per il meglio a presto. - SALVATORE BOVA - Grazie a tutte e tre, care amiche, anche da parte di mia moglie. -ANGELA PLUMARI - Tanti auguri, e che tutto si risolvi bene.Buona serata. SALVATORE BOVA - Naturalmente al grazie associo anche l'amica Angela Plumari.
                                                                                                               7 febbraio 2015
Mi scusino quelli che, per il giudizio o il commento espressi, non vengono citati. Come detto prima, qualcosa -non so effettivamente se e quanto- in fase di accorpamento venne cancellato. Maria Rosa -sempre disponibilissima e brava- mi ha dato una mano, ma non tutto, evidentemente, è stato possibile recuperare.

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Chiedo scusa se soltanto ora, 10 febbraio -sia pure sinteticamente, considerati i numerosi impegni familiari che da un po’ di tempo mi fanno carico- esprimo un mio giudizio sulle opinioni espresse, alcune delle quali, invece, meriterebbero un più approfondito e specifico riscontro da parte mia.
      Comincio intanto col precisare il perché una quindicina di giorni fa ho deciso di dare vita, servendomi di Facebook - cosa peraltro innaturale, al racconto che poi, definitivamente, porterà il titolo “Il dolce-amaro racconto d’amore di un carnevale di cinquant’anni fa”. E’ stata una prova a cui mi sottoponevo che, come pensavo e intimamente speravo, se si fosse risolta positivamente, avrebbe dato conferma, a me stesso tanto per cominciare, e a chiunque altro avesse voluto considerare il fatto in se, che non solo i benestanti e  quelli che, magari con sacrifici propri e delle relative famiglie, hanno avuto la possibilità -non voglio dire la fortuna- di studiare ed emanciparsi sul piano culturale, possono fare “certe cose”, che solo loro sono, o possono essere, i depositari del sapere in genere. Se si tiene conto che il mio titolo di studio è modestissimo: licenza di avviamento professionale, appare evidente che la pochezza iniziale della mia preparazione culturale è stata, col passare del tempo, sia pure parzialmente e solo sotto certi aspetti, colmata. Ma è a 90 anni compiuti che dovevo dimostrare questo? E mi chiedo, e chiedo a chiunque legge: è giusto che lo Stato, ma è più esatto dire chi ci ha governato e ci governa, specie in tre campi essenziali nella vita e della vita: istruzione, lavoro e sanità: non metta tutti i suoi sudditi nelle stesse condizioni? Nelle stesse condizioni -ma anche lì ci sono raccomandati e benestanti!- lo siamo se scoppia una guerra, ci mettono un fucile in mano…..e vai a difendere la Patria!…..e, per essa,  all’occorrenza fatti ammazzare!
                                         E ORA NEL MERITO DEL RACCONTO:

Chiaro che, volendo proporre un “racconto“, dovevo pur parlare di qualcosa o di qualcuno; e tanto più ciò che andavo a raccontare “avvinceva”, sia in positivo che in negativo, o poteva essere riferibile a qualcuno, più evidente sarebbe stata la conferma che la prova -per quanto mi riguarda- mi era riuscita. Io ritengo sia riuscita, chi mi legge cosa ne pensa?

MA PER QUANTO RIGUARDA IL GIUDIZIO SULLE DIVERSE, POSSIBILI considerazioni espresse dagli intervenuti, cosa dire? Io ribadisco sinteticamente il mio: Ritengo che a tutti noi -maschi o femmine, giovani o vecchi- non dispiaccia sapere di essere oggetto di simpatia, attrazione, desiderio; chi fa spallucce a questo mio giudizio, a mio parere è un ipocrita. Altra cosa è l’amore: è un fatto soggettivo, un fatto, cioè, che interessa -se l’interessa- la singola persona; è un fatto superlativamente bello se condiviso, non ha senso, anzi diventa un tormento per una delle due parti, se non lo è. Infine, l’AMORE, CHE NON HA STRUMENTI PER ESSERE MISURATO, non corrisposto -o comunque represso, come nel caso del protagonista del mio racconto- può, specie in persone particolarmente sensibili, provocare reazioni che ad altre persone possono apparire assurde e ingiustificate. Se così non fosse, che spiegazione dare ai gesti di coloro -e ce ne sono sempre stati- che si lanciano nel vuoto da considerevoli altezze o che, anche, si buttano sotto un treno?
COMUNQUE, IL RIEPILOGO DI TUTTO: racconto, giudizi,commenti, ecc., lo potete trovare sul Blog “REGALBUTO. Il Blog di Salvatore Bova” o su quello che, eventualmente, lo sostituisce: salvatorebova.blogspot.it

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1) - La storia che sto per raccontare è una storia vera, avvenuta oggi e che vede come protagonista principale Carmelo Mazzaglia di Catania, proveniente -se non mi sbaglio- da Ragalna. E' una storia che mi ha colpito molto e che, sono certo, farà riflettere ed emozionare chiunque avrà l'occasione di leggere e considerare i fatti che mi accingo ad esporre. Ma, prima, non possono prescindere dal considerare alcuni fatti che fanno da prologo a quello principale.
Stamani, con l'autobus in partenza alle 6.15 da Regalbuto, per a quarta volta in poco più di una settimana -le prime tre volte in compagnia di mia moglie, claudicante e con la gruccia e la quarta da solo, appunto questa mattina- sono stato all'Ospedale Cannizzaro di Catania, oltre che per incontrare ed essere in qualche modo utile a mia moglie, per chiarire -con medici e sanitari dell' Ospedale- alcuni passaggi clinici, a mio modo di vedere, molto utili a mia moglie, operata al ginocchio sinistro appena tre giorni fa; il tutto -o in buona parte- già “discusso” e considerato telefonicamente nei due precedenti giorni con l'ortopedico che da quasi un anno e mezzo ha in cura mia moglie. Meno male che quanto era necessario chiarire e documentare mi è stato possibile farlo in tempi brevi e compatibili con le mie condizioni, che non mi consentono lunghe assenze -come ore intendo- dall'abitazione. Cosicché, in tempo per potere rientrare a Regalbuto con l'autobus che parte da Catania alle 11.30, ero già fuori dall'ospedale e mi avviavo verso la corsia dalla quale transita la “navetta” che trasporta i visitatori, almeno quelli che necessitano di una certa assistenza. Mi sono fermato per lasciare passare una macchina che sopraggiungeva, ma questa fece altrettanto, lasciando a me la precedenza; cosa che io ho fatto senza perdere tempo, Solo che appena fatto ciò e prima che la macchina ripartisse, istintivamente, ho fatto il classico segno della richiesta del “passaggio”. Il conducente, che viaggiava da solo, aperto lo sportello e tolte alcune carte che si trovavano sul sedile alla sua destra, mi ha invitato-gentilmente- di prendere posto. Appena salito mi ha chiesto dove dovevo andare e io ho risposto che mi andava bene arrivare all'uscita dell'ospedale, nelle cui immediate vicinanze c'è la fermata del Bus Urbano -il 448- che porta alla stazione. Il conducente, gentilissimo mi informa che lui va a Catania, se non proprio alla stazione, non molto distante dalla stessa: andava all'INPS -se non mi sbaglio- situanto poco oltre Piazza Iolanda e pertanto nemmeno molto distante dalla stazione. Per me andava benissimo. Fu a questo punto che mi venne spontanea la domanda: -Lei é un operatore sanitario? -No, rispose lui, sono un operaio , un metalmeccanico, per la precisione, disoccupato, cassintegrato, ecc. da circa tre anni -sono finanche stato in India,...., niente da fare! certamente molto amareggiato. Fu a questo punto che completammo le presentazioni e così ho appreso che era sposato -e questo poteva anche essere più che naturale, che aveva tre figlie e che -come me- nella sua infanzia frequentava i salesiani e il catechismo; solo che io sono un non credente, mentre lui -non so se fervente- comunque un più che convinto credente! Ma è a questo punto che comincia la vera storia dell'incontro con Carmelo Mazzaglia, che mi ha tanto colpito e commosso, ma ormai sono stanco. Quello che vedete scritto sopra è la ripetizione di quello che già avevo scritto -fino a qualche ora fa- ma che il programma in quel momento in uso ha cancellato: dalla prima all'ultima parola quello che leggete ne è, grosso modo la ripetizione. Consentitemi di continuare domani, d'accordo?
E, invece, riprendo. -  13 febbraio alle ore 23.23 · Modificato · 

2) - Altro particolare che non posso trascurare è che Carmelo Mazzaglia ha forse meno della metà dei miei anni, non penso di averglielo chiesto, ma ritengo di non sbagliarmi. Comunque, ormai in prossimità della sua meta, l'ormai amico Carmelo, mi dice che mi accompagnerà fin dove io dovevo andare. Naturalmente non me la sono sentita di rifiutare e ho accettato. Chi è pratico degli autobus di linea sa che questi -e quindi anche quello che deve riportarmi a Regalbuto- partono dal grande posteggio che si trova di fronte alla stazione, all'inizio del Viale della Libertà, sulla destra. Ci siamo fermati in un bar in prossimità della zona di stazionamento degli autobus e lì abbiamo consumato un caffè; Carmelo Mazzaglia non ha voluto altro, ma abbiamo continuato a parlare del più e del meno, anche di Regalbuto e di come, eventualmente, se non lui le sue figliole, ci si poteva collegare con i Gruppi che a Regalbuto si riferiscono, e in modo particolare con i più rappresentativi, almeno dal punto di vista numerico, e cioè “Sei di Regalbuto se....” e “Regalbuto sei sempre....”.
IL MOMENTO DEL SALUTO, CHE DOVEVA ESSERE UN NORMALE SALUTO FRA VECCHI AMICI, E' STATO PER ME MOTIVO DI GRANDE TURBAMENTO E DI INDICIBILE EMOZIONE. Dopo esserci strette le mani ed esserci abbracciati, come due vecchi amici, il caro amico Carmelo Mazzaglia va per avviarsi verso la sua macchina, ma fatto un passo torna indietro e, CON EVIDENTE EMOZIONE MI CHIEDE: -MI VUOLE FARE UN GRANDE FAVORE? E AL MIO SI' AGGIUNGE: LE CHIEDO DI PREGARE PER ME E LA MIA FAMIGLIA. E, DI FRONTE AL MIO TURBAMENTO AGGIUNGE: SONO CONVINTO CHE LA PREGHIERA DI UN NON CREDENTE POSSA, ALMENO SPERO, FARE DI PIU' DELLA PREGHIERA DI UN CREDENTE! Ho risposto -emozionatissimo anch'io- che, sicuramente questa notte -e anche in seguito- non avrei potuto fare a meno di pensare a questo suo turbamento -che era diventato anche mio- e alle cause che lo hanno determinato e lo determinano.Fu quella supplica -perchè di una supplica si è trattato- rivoltami in modo così accorato, e con tanta sincera convinzione, per di più da una persona così semplice, ma nello stesso tempo piena di dignità umana, a commuovermi e lasciarmi così scosso. Come se le sue preoccupazioni, la serena e tranquilla sua vita familiare dipendesse da un Essere Superiore, che poteva essere invocato anche da un non credente come me e non da una infinità di esseri umani ingordi e pieni di soldi e di potere sparsi per il mondo!
Ho voluto chiudere questa sera questo racconto, anche se è tardi,, malgrado la stanchezza, perchè moralmente mi sentivo in obbligo nei confronti del protagonista di questa storia, ma anche perchè volevo -sempre questa sera o quando la leggeranno- che tutti -credenti e no- facessero proprie le preoccupazioni e le aspirazioni dei tantissimi “Carmelo Mazzaglia” sparsi nel nostro Paese, per non dire nel Mondo!
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Seguono giudizi e commenti.
 
Continua..........